Quello che le sentenze non dicono..
LA RESPONSABILITA’ PER IL MORSO A SEGUITO DI ZUFFA CANINA
Area cani. Un alano e un labrador vengono alle “zampe”. Tizio (compagno umano dell’alano) nel tentativo di sedare la rissa viene morso dal Labrador di Caio. Per il Tribunale di Milano tale morso è invece riconducibile proprio all’alano. Dello stesso parere la Corte di appello di Milano che conferma il giudizio di primo grado. Dunque nessun risarcimento in favore di Tizio.
Per la Corte di appello la sentenza di primo grado trova il suo fondamento nel quadro emerso dalle testimonianze rese da coloro che detenevamo il labrador per conto di Caio, giudicate pienamente attendibili perché estranei al presente giudizio e univoche nell’escludere che il labrador avesse sferrato un morso all’alano. Uno dei due testi riferisce di non avere visto chi avesse morso Tizio limitandosi a riferire che quello si lamentava indicando nel labrador il cane che lo aveva morso. Anche l’altro teste dichiara di non avere visto chi avesse morso Tizio ‘ma che questi aveva messo un fazzoletto sul dito dal quale usciva sangue.
Invero la Corte sottolinea come le dichiarazioni testimoniali siano di per sé sole insufficienti ad escludere la riconducibilità del danno patito da Tizio all’alano; acquisterebbero invece piena efficacia probatoria una volta lette alla luce delle circostanze di fatto antecedenti al morso. Era infatti emerso un inequivocabile atteggiamento remissivo del Labrador il quale, nonostante il morso sull’orecchio ricevuto dall’alano, non aveva reagito andandosi a nascondere sotto la panchina. Proprio sulla base di questa circostanza il primo giudice avrebbe correttamente ritenuto di escludere che il morso subito fosse da ricondurre al labrador. Era “più probabile che non” che l’alano, quantunque equilibratissimo (come si attestava nel certificato di equilibrio psichico)in un momento di rabbia e offuscamento avesse potuto reagire contro il proprio padrone, mordendogli la mano per il nervosismo.
Si tratta di una interpretazione sicuramente ardita. Giova però ricordare che colui che sia ssume danneggiato da un fatto dipendente da una animale ha l’onere di provare che quel fatto dannoso sia riconducibile eziologicamente (causalmente) a quell’animale. Tizio, a dir della Corte, avrebbe interpretato in modo forse eccessivamente estensivo tale principio laddove ha sostenuto che, anche ammettendo che il morso subito non provenisse dal labrador ma dal “suo” alano, la responsabilità ex art. 2052 c.c. di Caia sarebbe determinata dalla riconducibilità eziologica del fatto lesivo al fatto del suo animale. In altre parole per Tizio la zuffa tra i due cani cui è seguito il morso sarebbe stata originata dal comportamento del labrador che, avvicinandosi all’alano, ne avrebbe dato luogo.
Circostanza questa che comunque la Corte ha preso in considerazione laddove il morso subito non vi sarebbe stat ove il labrador non si fosse avvicinato all’alano dando avvio al decorso causale che ne avrebbe determinato la verificazione. Ma per la Corte infatti il fatto che il labrador si fosse avvicinato all’alano (verosimilmente) per giocare (non potendosi escludere altre intenzioni) non può ritenersi causa dell’evento dannoso patito dal compagno umano dell’alano. Il morso dell’alano a Tizio rappresenta fattore causale capace di assorbire integralmente gli antecedenti astrattamente qualificabili.
Quali che siano le prospettazioni non si può comunque prescindere dalla dimostrazione del collegamento causale tra il danno allegato e il fatto dell’animale stesso. Prova che, nel caso di specie, non è stata raggiunta così escludendosi la configurabilità della responsabilità ex art. 2052 c.c. e, amaggiore ragione,ex art. 2043 c.c. a carico del compagno umano del Labrador.
Alcune considerazioni ultronee. La prima riferibile al luogo in cui si è verificato il sinistro, un’ara cani. Spesso erroneamente considerata terra di nessuno, dove le regole del codice civile e di quello penale non entrano. Dove inevitabilmente e colposamente cala l’attenzione verso i cani lasciati a se stessi all’interno di quello che non poche volte diventa un ring.
Una seconda considerazione riguarda la responsabilità di chi conduce un cane altrui (tema estraneo alla vicenda in commento ma ricorsivo). Nel caso che ha originato la sentenza in commento mentre l’alano è accompagnato dal proprio compagno umano il Labrador è in “custodia” di due persone (nell’interesse di una terza persona, Caia, compagna umana del cane) che rimangono esterne all’area cani. Preoccupati dai segnali di aggressività manifestati dall’alano i due si precipitano all’interno dell’area per recuperare il proprio cane. Ed è proprio in questa occasione che, a dire di Tizio, il Labrador lo avrebbe morso.
Altro tema è la irrilevanza dell’indole di un cane. Che si debba diffidare del c.d. cane buono o ritenuto tale è principio che dovrebbe essere orami di dominio pubblico tra i cinofili. Anche se, come nel caso di specie, tale indole viene finanche certificata da un patentino (???) rilasciato dall’ente nazionale di cinofilia italiana unitamente ad un certificato di equilibrio psichico rilasciato a seguito di un test di affidabilità di controllo dell’equilibrio psicologico dell’animale. Si tratta, a mio modestissimo parere, della dimostrazione del fatto che non possiamo governare l’ingovernabile. I cani, quali esseri viventi, agiscono per motu proprio.
Avv. Filippo Portoghese
Diritto e tutela del benessere degli animali