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Quando il diritto ignora la sofferenza per la morte di un animale

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Esiste un prima e un dopo. Il prima è la vita trascorsa insieme ad un animale. Il dopo è la nostra vita senza più quell’animale

Quando il dopo arriva porta dolore, sofferenza, patimento, turbamento. Stati d’animo che ciascuno vivrà da solo, senza poterli condividere con qualcuno che non sia uno stretto familiare, finanche con la paura di condividerli, di non essere capito, di essere giudicato. A volte anche deriso. Altre volte, (solo) ignorato. Anche giuridicamente.

Un animale d’affezione è ormai da tutti considerato parte della famiglia in cui trascorre la sua esistenza. Il suo rapporto con i componenti di essa è assimilabile a quello che vi è tra gli stessi umani, pur con le naturali, ragionevoli e differenti sfumature che ci sono e sempre ci saranno. E che sarebbe pericoloso non tenere in debita considerazione.

Perchè mai la sua morte (non mi riferisco a quella naturale bensì a quella per colpa o dolo di qualcuno) non dovrebbe avere anche conseguenze giuridicamente valutabili considerato il ruolo fondamentale che l’animale ha avuto nella vita di una certa famiglia o di una determinata persona?.

Rivendichiamo benessere, tutela e dignità per gli a nomali quando sono vivi;  ma siamo incapaci di attribuire un valore alla loro morte.

Sappiamo che per il nostro ordinamento gli animali non umani sono considerati e classificati come meri beni ma abbiamo chiara la percezione che il rapporto tra un essere umano e un animale è qualcosa di enormemente diverso dal rapporto tra quello stesso essere umano e qualsiasi altro bene mobile.

Questa percepita diversità che conduce alcuna dottrina e alcuna giurisprudenza (purtroppo prevalentemente di merito, cioè quella dei Tribunali) a considerare il rapporto che si instaura tra l’uomo e l’animale d’affezione come un rapporto attraverso il quale trova realizzazione la persona umana. Certo si palesa una delle più complesse questioni giuridiche che è quella della fisiologica difficoltà originata dal dovere “convertire” in denaro un valore (la sofferenza per la morte di un animale) che non ha  non può avere consistenza materiale.

Operazione (quasi) impossibile che, per quanto riguarda gli esseri umani, ha trovato soluzione nelle tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale. Quel danno che può assumere forme diverse. Quella di danno biologico inteso quale lesione al bene salute (una profonda depressione a seguito della morte del proprio cane); quella di danno morale (dimensione interna a ciascuno di noi, la sofferenza interiore), e quella di danno esistenziale (una dimensione esterna, di relazione con tutto ciò che è l’altro da sé).

Come anticipato la complicazione si palesa dapprima nel (fare) riconoscere questo danno per poi manifestarsi in modo acuto nella (sua) quantificazione. Senza entrare in particolari, complessi e noiosi tecnicismi, vige oggi il principio per cui è’possibile tutelare quei diritti della persona costituzionalmente protetti e la cui lesione determina conseguenze di natura non patrimoniale pur in assenza di una norma di legge che ne prevede il risarcimento.

La domanda delle domande è se lo sconvolgimento conseguente alla perdita (parlo della perdita ma eguale discorso nel caso di gravi lesioni all’animale) dell’animale d’affezione (per colpa o per dolo) costituisce una ingiustizia costituzionalmente qualificata? Viene o non viene leso un diritto inviolabile della persona protetto dalla Costituzione nella misura in cui così si è palesato in conseguenza dell’evolversi del c.d. sentire sociale?

La risposta è inevitabilmente determinata da come la giurisprudenza intenda la relazione uomo e animale. Affrancata cioè da un mero diritto di proprietà e ricondotta invece a quella relazione con l’animale attraverso la quale la persona trova la sua piena realizzazione secondo i dettami dell’art. 2 della Costituzione italiana. La perdita irreversibile di una presenza nella propria quotidianità, come anche della possibilità di godere della compagnia di una animale, intese come  circostanze che potrebbero determinare una lesione dell’integrità morale e realizzatrice della persona umana riconducibile all’art. 2 della Costituzione.

Se così è, nulla di irriguardoso dunque sostenere e volere riconoscere il danno (non patrimoniale) da morte dell’animale (d’affezione).Una relazione affettiva che si instaura negli anni con l’animale (in questo caso un cane) che non può essere archiviata senza motivo e quel motivo non può non essere  riconosciuto dalla giurisprudenza.

Purtroppo non poche volte oggi il diritto positivo continua a sottolineare che gli animali sono cose e che nonostante la disciplina pubblicistica che appresta loro tutela, gli animali non sono titolari di diritti. Ecco allora che come accade nel gioco dell’oca, può capitare che quando si arrivi alla casella della Corte di Cassazione, ci si ritrovi in un solo colpo ricacciati indietro di qualche casella.

Qualche volta finanche al via.

Avv. Filippo Portoghese
Diritto e tutela del benessere degli animali