Di questa sentenza si è già scritto tanto. Non avendo ancora conoscenza del testo mi sono limitato denunciare un malvezzo dei frequentatori delle aree cani. Letta la sentenza della IV sezione penale della Cassazione, mi preme sottolinearne un passaggio che forse è passato sottotraccia.
Ricordo il fatto all’origine della sentenza. Tizio entrato all’interno di un’area cani (insieme al suo cucciolo di cane di piccola taglia) viene aggredito da un pitbull, lasciato libero di circolare all’interno della stessa area cani senza guinzaglio e museruola. A seguito dell’aggressione Tizio riporta lesioni personali. Condannato in primo e secondo grado proprio per il reato di lesioni, ricorre in Cassazione.
Come può considerarsi violata la regola di condurre il cane al guinzaglio e con museruola in un’ area, quella c.d. di sgambamento, dove i cani “hanno il diritto” di muoversi liberi da guinzaglio e museruola salvo essere di indole aggressiva come prevede il locale Regolamento locale sulla tutela degli animali? Non vi era alcuna certificazione che descrivesse ex ante come aggressivo il pitbull e dunque, sostiene il suo proprietario alcun obbligo giuridico poteva configurarsi a suo carico di Tizio (né potendo estendersi le limitazioni previste per gli animali aggressivi a quelli descritti come diffidenti).
La Cassazione però compie una diversa lettura delle sentenze dei giudici di merito. Quello che viene contestato non è l’utilizzo del guinzaglio o museruola quanto la violazione di regole di generica prudenza considerando che, in presenza di un altro animale nell’area di sgambamento nonché del relativo accompagnatore, la proprietaria del cane avrebbe dovuto fronteggiare la situazione con maggiore cura e cautela attuando una vigilanza stretta e una presenza dominante sullo stesso, peraltro trattandosi di un cane (anzi di una tipologia) che impone onere di custodia e vigilanza accentuato. Quanto invece proprio al pitbull “aggressore” lo stesso proprietario lo aveva definito di indole diffidente. E nonostante tutto (un cane impegnativo) e la conoscenza del carattere di quello, ha omesso di adottare qualsivoglia cautela all’arrivo di Tizio insieme al proprio cane di piccola taglia all’interno dell’area di sgambamento. La Cassazione sottolinea invece come il proprietario del pitbull proprio perché conscia del carattere diffidente del proprio animale e della potenzialità lesiva del medesimo avrebbe dovuto prevedere e prevenire la reazione del Pitbull ponendogli la museruola o attestandosi quanto meno a una distanza ravvicinata, in modo da intervenire immediatamente e bloccarlo in caso di aggressione.
Ecco la particolarità della sentenza in commento. Viene individuata un culpa in vigilando identificata quale violazione di una regola non positivizzata desumibile da una massima di esperienza, legata non tanto alla razza del cane (per buona pace di chi non vuole sentire parlare di razze) quanto piuttosto alla eventualità che un cane diffidente reagisca in maniera aggressiva all’avvicinamento di terzi estranei.
Un paio di considerazioni conclusive. La prima, quella che io almeno colgo dalla lettura di questa sentenza è una sorta di indiretta richiesta che la corte suprema rivolge all’organo deputato ad approvare le leggi laddove si dice che “nelle more dell’emanazione di una disciplina normativa organica in materia, il Ministero della Salute pubblica e periodicamente proroga ordinanze contingibili e urgenti concernenti disposizioni di natura cautelare a tutela dell’incolumità pubblica dall’aggressione dei cani”. Come è noto in questi giorni vi è fermento per la formazione di proposte normative a cura delle regioni e finalizzate a confluire in Parlamento perche si addivenga ad un testo unico di contrasto alle aggressioni nei danni degli stesi cani e degli umani. In ossequio al riformato articolo 9 della Costituzione che, se non implementato da una legge ordinaria, rimane un modifica simbolica.
La seconda considerazione è che esiste un principio assai semplice per cui risultando, secondo logica e buon senso (spesso latitanti), ex ante l’inefficacia preventiva delle regole cautelari imposte dalle norme, colui che conduce un cane deve osservare ulteriori regole non scritte da alcuna parte ma efficaci a prevenire danni ad altri cani e/o persone. Ecco, su questa seconda considerazione temo che, per esperienza professionale e per quanto vedo accadere nelle nostre città, vi sia ancora tanto da fare. Ma proprio tanto. Un importante graduale autoriduzione dell’ignoranza che può nascondersi in ciascuno di noi. Magari con un prezioso aiuto delle istituzioni. Perché, come spesso mi piace ricordare, le vicende che riguardano gli animali (in questo caso quelli che vivono con noi) stanno gradualmente trasferendosi dalla periferia (anche del diritto) a zone del dibattito pubblico più residenziali.
Avv. Filippo Portoghese
Diritto e tutela del benessere degli animali