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La Corte di Cassazione (ordinanza n. 35844/2022), ove il giudizio giunge, riaccende i riflettori sul discusso tema dell’applicazione del codice del consumo alla vendita di animali

Tizio acquista un cane di razza bulldog inglese che sin dal momento della vendita era affetto da una determinata patologia broncopolmonare. Nasce un contenzioso con l’allevatore (e il medico veterinario dello stesso) che, per quanto di nostro interesse, limito al tema del termine di denuncia entro cui va rappresentata la patologia riscontrata dal cane per poter ottenere i rimedi di legge e al  momento dal quale si ha avuto conoscenza del vizio. La Corte di Appello di Roma, ribaltando l’esito del tutto favorevole al compratore del cane, considera tardiva le denuncia del vizio (la malattia) avvenuta dopo gli otto giorni dalla consegna  del cane, come prevede il codice civile in tema di vendita di cose.

La Corte di Cassazione (ordinanza n. 35844/2022), ove il giudizio giunge, riaccende i riflettori sul discusso tema dell’applicazione del codice del consumo alla vendita di animali.

Applicazione  ritenuta corretta già da un precedente arresto della Corte (sentenza n.22728/2018) e in virtù del quale il termine di denuncia del vizio non è di otto giorni bensì’ di due mesi dalla consegna del cane (dal 1 gennaio 2022 è stato eliminato l’obbligo del consumatore di denunciare i vizi entro due mesi dalla scoperta)  con la presunzione che, qualora il vizio si manifesti entro sei mesi da quella (dal 1 gennaio 2022 il termine di presunzione è stato portato all’anno), si presume esistesse sin dall’inizio. Vi sono, invero, precedenti più remoti che hanno individuato nel codice elle consumo la normativa applicabile. I Giudice di Pace di Macerata (2013); Tribunale di Torino del 2005.

Tale convincimento, spiega la Corte, ha origine nel presupposto per cui in tema di compravendita di beni si debba applicare la disciplina più favorevole al consumatore e dunque quella del consumo,  applicandosi il codice civile solo per quanto non previsto dal codice  del consumo.  Ulteriore premessa (ribadita nelle due sentenze della Corte) è quella per cui gli animali, per il diritto, sono beni (rispetto alla versione originaria del codice del consumo non si fa menzione di beni di consumo ma di beni tout court).

Dunque anche quando si controverte circa una patologia che riguarda un animale (in questo caso un cane) si applica il codice del consumo (decreto legislativo 206/2005) destinato alle transazioni che hanno per oggetto appunto beni (di consumo) come un aspirapolvere, un pc, un’autovettura, una lavatrice.

Che vi sia una unanime difficoltà a percepire l’animale come qualsiasi altro bene giuridico al pari di una lavatrice credo sia pacifico. L’idea consumeristica di potere chiedere la sostituzione o risoluzione contrattuale è – parere di chi scrive- ignobile. Quella di una sua riparazione forse risibile.

Ma quale sarebbe è il rimedio previsto dal nostro ordinamento laddove l’animale acquistato dovesse presentare una patologia pregressa, occulta e grave? Invro non vi è alcun rimedio giuridico specifico se non, ai sensi dell’art. 1469 del codice civile,  che rimanda alle norme che si applicano — appunto — per la compravendita di beni di cui al codice civile stesso (il  compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo)-

Ma l’applicazione del codice civile è forse meno discutibile dell’applicazione del codice del consumo tenuto conto del particolare bene compravenduto?

Non lo credo. Credo invece che il busillis è che gli animali, che pure sono unanimemente riconosciuti quali esseri senzienti, sono e restano per il nostro ordinamento giuridico delle res, delle cose. In alcuni casi destinate di fatto e in modo prevalente alla realizzazione dell’interesse umano.

Questo principio, antropocentrico, già radicato all’interno del codice civile (quello del ’42 ma anche quello del 1865, all’art 417 laddove sono considerati mobili per loro natura i corpi che possono trasportarsi da un luogo ad un altro o si muovono per propria forza come gli animali), viene ribadito espressamente dalla Cassazione con questa sentenza.

Non è azzardato dunque affermare che l’animale -per quanto si legge in questa sentenza- è dunque (anzi rimane) solo il beneficiario della tutela apprestata dal diritto e non il titolare di un diritto alla tutela giuridica.

Una schizofrenicità del nostro sistema normativo di diritto privato che ad oggi, in mode del tutto anacronistico preveda per controversie riferibili agli animali norme e principi relativi a ciò che un codice del 1942 ancora considera ex art. 812, beni mobili alla stregua di un aspirapolvere, dobbiamo fare rilevare che si tratta di un sistema combinato che non vede una sostituzione o deroga del codice del consumo rispetto al codice civile quanto piuttosto di una complementarietà di tali norme che siano così idonee ad assicurare la più efficace tutela dell’acquirente.

Questa visione antropocentrica che permea il nostro ordinamento (e lo permea delle sue origini e dunque dal diritto romano) è destinata a scomparire? Si, ma presuppone  una rivoluzione culturale della quale non vedo quei prodromi che tanti invece scorgono all’orizzonte, anche ammalati dalla recente riforma costituzionale. Chi si occupa di diritto deve segnalare i falsi positivi della soggettività non umana umana che potrebbero nascondersi finanche in quelle operazioni di restyling del codice civile e della Costituzione che in ogni caso chi scrive ritiene quantomeno opportune. Certo è che se gli animali non fossero considerati res probabilmente non vi sarebbe la necessità di discutere sul vizio dell’animale compravenduto.

Avv. Filippo Portoghese
Diritto e tutela del benessere degli animali